Alessandro Werlich Time.

E io come la inizio un’intervista così? Settimane di procrastinazione, iniziando con Sennori, continuando con Mauro e la Ferrini. Ma il cerchio torna nel suo punto di origine e io devo tornare a quando siamo nati io e Alessandro Werlich. Sì, io e Ale, io e W., io e la capacità di un ragazzo di 28 anni di essermi amico senza conoscermi, io e il mio imprescindibile bene che credo di avergli voluto dopo la seconda chiacchierata. Alessandro è il motivo per cui io ho deciso di occuparmi di basket e di riempire il sito di una serie di suoi amici e avversari. Ed esattamente come fai per il fratello con cui condividi tutto, io e Werlich siamo diventati una sorta di famiglia sportiva. Fatta di venerdì pre-partita e di centinaia di messaggi, di foto virali a suon di loghi, slogan elettorali, claim pubblicitari. Fatti di sabato in cui Werlich saliva sul palco ed esattamente come il Justin Timberlake del basket che potevamo permetterci, si esibiva a suon di punti, pubblico di Calasetta in delirio e post-partita o domeniche mattina in cui si rifugiava nei nostri commenti o nelle foto di Sotto Torre, che così bella io non ho visto mai. Una sera ho preso tutto e sono andato a Calasetta, questo lui lo legge per la prima volta oggi e sono andato a vederlo giocare.

Ho visto suo papà Massimo guardarlo con un amore che mi ha intenerito non poco e che è così incredibile che una volta (o chissà quante) ha preso due aerei in una giornata solo per vedere un’oretta Ale giocare. Ho guardato quella partita lì, quella tra il padre che avrei voluto se solo fossi stato bravo come Werlich, e il figlio che avrei voluto essere, se solo mio padre mi avesse promesso di venirmi a guardare con quell’orgoglio giocare. Ricordo poco di tutto il resto, forse confondo pure la squadra contro cui avesse vinto quel sabato. So solo che sono tornato a casa con il cuore talmente pieno di quelle emozioni lì che ne ho parlato con mio papà, il quale mi ha detto: allora scrivi di lui.

Alessandro Werlich (Ph: Andrea Chiaramida)

Scrivi di quell’amore che comunica Werlich. Scrivi di quel ragazzo che ama la Sardegna più di te e che ormai parla con un accento sardo migliore del tuo. Scrivi di quel giocatore che in campo danza, si muove con una sinuosità che capisci perché poi la gente urla “dai Ale, grande Werlich, troppo togo Alessandro”. Scrivi di quel padre che sale e scende dall’Orio al Serio-Cagliari e che farebbe di tutto per non perdersi un tiro libero, un canestro o una tripla di W. E allora ho cominciato a seguirlo di più. Ho smesso di indossare i panni del giornalista che non mi sento e sono diventato più fan di Alessandro che di Calasetta, lo ammetto subito. Non perché il Calasetta di amici come Pippy (il copy è solo mio) o di Barreiro. Ma perché tutti capiscono che Ale è un’altra cosa per me. È un personaggio. È il mio soldatino da collezione vestito Nike da testa ai piedi. È il primo a cui ho pensato quando ho guardato due volte Air, e quando Viola Davis che interpreta Deloris Jordan, mette tutti sull’attenti e affida il figlio ad un’azienda fortunata che lo rende miliardario. È come ho detto una volta di un calciatore, è quello che il sabato alle 13:30 saluti davanti a scuola e poi sai già che vai a vedere la sera al palazzetto di Calasetta. Perché con Werlich vuoi condividere il banco, il basket, la birra del dopo partita.  E magari la domenica vai a Turri o a Mangiabarche (tutti posti che vi googlate se non li conoscete, così vi fate un mini sussidiario su Werlichwood, luogo in cui vive) e parli ancora della partita, oppure ti fermi lì e rifletti sulla vita come fa lui. Che tanto è bello lo stesso.

Ora che vi ho detto quanto gli voglio bene, e quanto tale cosa sia inspiegabile, vi lascio trascurare i fazzoletti e facciamo i seri per un attimo. E magari cerchiamo anche di parlare di playoff. In uno degli anni più in salita per la sua carriera. 

**

“Mi chiedi di parlare in una settimana in cui matematicamente abbiamo centrato l’accesso ai playoff. Da una parte c’è la soddisfazione di poter continuare a giocare il campionato. Perché adesso si ricomincia tutto da capo. Anche se molto probabilmente i primi contro cui giocheremo saranno i ragazzi della Ferrini”

Mettiamo in fila i pezzi Werlich. Annata difficile.

“Anno complicato sì. Fatto di molte circostanze e di fattori che si sono incastrati e hanno reso difficile il percorso. Parto dalla conferma di Danilo (Magiera n.d.r.) e dal suo esonero di dicembre. Parto dai nuovi innesti e da una squadra che ci ha messo tanto a trovare una continuità, e che forse deve ancora trovarla. Costruire una squadra e un’alchimia, credimi, non è semplice. Siamo tutti elementi diversi, con idee diverse e modi di vivere il basket differenti. Perciò poi coniugare tutto non è semplice. Parto anche da un infortunio che mi ha tenuto un pochino fermo. Insomma, mettendo in fila i pezzi, dico che poteva andare tutto meglio”

Alessandro Werlich (Ph: Instagram)

Aggiungo, non per darci la zappa sui piedi, che arrivava da un secondo posto lo scorso campionato.

“Esatto. Non è stato semplice. Gli alibi sono tanti, concordo con te, ma dobbiamo guardare avanti”

I playoff sono una storia nuova da scrivere?

“Sì, perché seppur sia complicato raddrizzare una stagione, adesso si riparte con la cosiddetta palla al centro, consapevoli che le chance per fare bene sono poche, ma che sono sempre gare nelle quali si riparte dallo 0-0 e da una classifica che in qualche modo si riazzera. Volevo, volevamo i playoff, perché dopo un anno come quello scorso, uscire fuori dalla lotta per la seconda fase, sarebbe stato fallimentare. Li abbiamo conquistati con fatica e ora ci siamo. E l’entusiasmo, credimi, ce lo metteremo”

Ripartiamo da una certezza. Sennori e Ferrini sono le migliori del campionato.

“Due grandissime squadre”

Che faranno di tutto per trovarsi in finalissima. Descrivile tu Werlich.

“Intanto ho grande ammirazione per entrambi i club. Parto da Sennori e da un amico a cui voglio molto bene, Merella, con il quale ci diciamo sempre quanto sarebbe bello giocare assieme in futuro. Hubalek è di un’altra categoria, lo sappiamo tutti, e in generale quest’anno si sono meritati questo successo in campionato. Passando alla Ferrini, posso dire che è una squadra della quale conosco il Presidente, con cui ho un ottimo rapporto, così come con molti dei suoi giocatori, tanto che dopo Calasetta-Ferrini con alcuni di loro siamo andati fuori alla sera, perché il basket, ci tengo a dirlo, è soprattutto amicizia, e poi anche Daniele Cocco, l’allenatore. Sono felice di vedere la Ferrini in alto, e lo dico con la stima per tutti i suoi atleti e per tutto ciò che è stata capace di costruire”

La Sardegna del basket, Werlich, la ama. 

“Esagerato (ride n.d.r.)”

Alessandro Werlich (Ph: Andrea Chiaramida)

Lei perché ama così tanto la Sardegna?

“Difficile rispondere a questa domanda. Da quando ho messo piede qui nel 2015 ho sentito che questa fosse la mia casa. Si sono creati dei rapporti umani importanti, e ho cominciato a sentire attorno a me un calore immenso. Lo noto ogni giorno a Calasetta, e parlo delle persone che incontro ogni giorno e che sono diventati la mia quotidianità”

Io ho parlato di un rapporto fraterno che forse spiega il Calasetta: Werlich, Pipiciello e Barreiro.

“Compagni con cui ho fatto un pezzo bellissimo della mia strada e che sì, sono diventati ciò che hai descritto spesso. Posso citare anche Federico Manca, Pierpaolo Tarica. Ho girato tanto e la mia storia qui, interrotta per due stagioni, mi ha poi fatto capire quanto io sia stato amato, coccolato e viziato da tutto il basket sardo che ho conosciuto”

Come si resta davanti a tutto questo?

“Conquistati. Per sempre.”