Per intervistarlo, dopo pochissimi minuti, ho immaginato di tornare indietro nel tempo.
Il tempo delle scuole medie, dell’istituto agrario di Santadi. Ossia quando Mirko Atzeni, ancora molto giovane, pensava e sognava soltanto il calcio.
E con i suoi sogni di fanciullo e successivamente di adolescente, percorreva centinaia di chilometri al mese per allenarsi con la maglia del Cagliari Calcio, che ha voluto Mirko con sé fin dall’età dei pulcini, una categoria in cui se un talento emerge, è sicuramente qualcosa di visibile agli occhi.

E Mirko quel talento lo ha da vendere, unito ad una grazia e a uno stile che riconosco a pochi suoi coetanei:
“Il calcio ha fatto parte della mia vita da sempre. Le storie come le mie, che sono usuali in questo sport, si devono anche al sacrificio di una famiglia. E la mia, con me, ne ha fatti tanti. Ogni allenamento si partiva da Santadi alla volta di Cagliari, tante volte a settimana. Ero così piccolo che facevo in tempo ad uscire da scuola per andare al campo con i miei fratelli che intanto studiavano e tifavano per me, come mamma e papà”
La sua è una di quelle famiglie sempre sugli spalti.
“Ora benedice anche Internet perché molte partite sono trasmesse sulle pagine social. E quindi possono vederle comodamente da casa. Tendenzialmente sì, ci sono sempre stati. Ma con i dovuti modi. Non hanno mai fatto gli allenatori in tribuna. L’essere un passo indietro mi ha molto protetto, anche perché io sono una persona che è in grado di rispettare il suo ruolo e il suo posto”
Non è il giocatore delle sbavature, si vede al primo impatto.
“No, ma sono uno che a questo sport ha dedicato tutto sé stesso. Ho fatto tutte le giovanili al Cagliari e poi dopo la primavera sono stato mandato a Fiuggi per fare esperienza. Poi quest’anno sono arrivato al Carbonia, per poi passare a metà stagione all’Atletico Uri”
Diciamolo, voleva giocare?
“Si, tenevo ad avere un mio spazio. Volevo giocare con una certa continuità. Trovo che questi siano anni preziosi per me e per fare esperienza. La gavetta voglio farla in campo, perché voglio capire a che punto del mio percorso professionale sono arrivato”
A Uri lo spazio lo ha trovato, eccome.
“Ha presente una realtà piccola, in cui si crea quell’ambiente bellissimo, in cui tutto il paese segue il calcio e i propri giocatori e sostiene la squadra? Ecco, in una frase le ho spiegato ciò che ho trovato a Uri. Una realtà che mi ha accolto subito, una squadra e una società che ha creduto in me, e un ambiente in cui ho trovato l’entusiasmo di poter disputare un campionato così ambizioso come la D”
Obiettivo salvezza.
“Lo stiamo inseguendo con tutte le nostre forze e speriamo davvero di portare a casa questo risultato storico. È il primo anno che questa società si ritrova in un campionato così e sarebbe bello premiarla col far disputare una nuova stagione sempre in serie D. Il presidente e la società hanno investito tanto e noi ci sentiamo tutti responsabili nel conseguire questo risultato”
Impressiona la sua maturità a 19 anni. È sempre stato così determinato?
“In alcune giovanili certi valori vengono insegnati proprio perché non ci si ritrovi a capire come comportarsi solo in tarda età. Io sono cresciuto con il sogno del pallone. Vorrei andare avanti, fare il salto di categoria, e continuare ad andare avanti”
Si è posto limiti? Mi risponda con onestà.
“Sono onesto: a 19 anni sarebbe brutto non poter credere ai propri sogni. Quindi no, non mi sono posto alcun limite, è troppo presto. Voglio potermi spingere avanti. Sono fatalista, a fermarmi non sarò io. Io so che col lavoro e l’impegno si può andare avanti”
Il suo modello.
“Hugo Lloris. Il portiere del Tottenham. Un giocatore eccezionale”
Vuole diventare come lui?
“Ci proviamo”
Nel frattempo studia Scienze Motorie. Di sport vuole proprio vivere?
“Si, sono riuscito a gestire entrambi gli impegni e trovo sia utile conseguire il titolo. Magari anche solo per insegnare lo sport a scuola. Sarebbe bellissimo. Per ora però penso al calcio. Il dopo è ancora molto lontano”